sabato 23 febbraio 2013

Don't look back into the sun

Ci hanno fatto due palle così con l'ideale delle rockstar dalla vita piena di eccessi e siamo cresciuti un po' tutti con questo mito. Non che sia falso, anzi spesso corrisponde a realtà, ma non per questo deve essere considerata una regola incontrovertibile.
Uno degli ultimi personaggi che si è visto affibbiare quest'etichetta, nel momento dell'apice di popolarità, è stato Pete Doherty. Quello che mi sono trovato davanti ieri sera è invece un uomo incapace di prendere parte a questo gioco, che ha suscitato in me profonda pietà.
Non mi aspettavo un concerto memorabile, parliamoci chiaro. La creatività e il valore artistico lo ha perso nella notte dei tempi, e la popolarità ereditata da quel periodo è ciò che lo tiene ancora a galla in qualche maniera. Eppure, sotto il profilo strettamente musicale, non è stato un brutto concerto.
Pete alla chitarra acustica, accompagnato unicamente da una violinista, che spazia attraverso tutto il suo repertorio, dai brani del disco solista ai pezzoni dei Libertines, passando per un paio di canzoni degli incompiuti Babyshambles degne di nota. Più di un'ora di esibizione, non propriamente coinvolgente ma sicuramente amichevole, in ricordo dei bei tempi andati.
È la presenza fisica ad essere inquietante. Il volto da ragazzino, il fisico un po' emaciato, hanno lasciato spazio ad un uomo che sembra gonfio di cortisone, dalla forma a birillo e dal viso alla Peter Griffin. Solo le spalle ricordano quella sagoma minuta, ispiratrice di tanti hipster con la maglia a righe orizzontali e il cappello nero e i jeans skinny. Si mantiene in piedi a fatica, si muove legnosamente, prova a fare stage diving ma occorrono poi due dei suoi per tirarlo sul palco, accende tre sigarette scroccate al pubblico ma gli cascano dopo un tiro solo. Ad un certo punto, riesce a beccarsi addirittura una testata contro il microfono, roba da deviazione del setto nasale.
Mi è dispiaciuto parecchio, nel vederlo così impotente. Mi hanno detto dal backstage che ha portato con se la figlia, probabilmente con l'intento di mostrarle l'unica cosa che è ancora in grado di fare, canticchiare vecchie belle canzoni intrattenendo un pubblico complice, che pur di vederlo ancora si accontenta di questo.
Io che sognavo un ritorno dei Libertines, come a Reading/Leeds nel 2010, vedo ormai ogni entusiasmo smorzato. Ciò non mi stupisce molto, in realtà, piuttosto l'empatia con un uomo assolutamente perso, un carico di potenzialità totalmente ingestite e sprecate.

E poi si chiude così.

4 commenti:

  1. Poraccio, a leggere queste cose mi fa una pena che non t'immagini. Chissà se si è iscritto a questa pagina su fb: http://www.facebook.com/pages/problemi-posturali-dei-fighetti-indie/113130875390604?fref=ts

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    1. È la stessa sensazione che ho avvertito io, anche se canticchiando e strimpellando assumeva un'aria serena.
      Per quanto lo riguarda, i problemi posturali sono quelli di un panzone indie. Qualcuno gli dica che le righe orizzontali non aiutano, quando sei gonfio.

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  2. io sognavo una vita da Libertines. Ma la post-adolescenza è andava veloce come i post-umi della sbronza. cià

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    1. Una vita da Libs dura più o meno un paio di giorni. Meglio cento giorni da pecora.

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