mercoledì 27 febbraio 2013

The light just radiates

Pensiamo alla California, per distrarci un attimo.
Pacific Coast Highway è il nome in codice di alcuni tratti della California State Route 1, che percorre quasi per intero la costiera oceanica dello stato di Schwarzy. Qualche anno fa ci sono pure passato, per un breve tratto, sebbene le immagini fossero annebbiate da quello che era il primo jet-lag della MIA vita.
(non considero jet-lag quella volta della gita in terza superiore, a Londra, che tornammo a casa la domenica in cui si spostano avanti le lancette di un'ora, che assieme al fuso orario ci fece ottenere una giornata di sole 22 ore)
Pacific Coast Highway è anche una canzone piuttosto recente delle Hole, che mi piaciucchiava quando la passavano in radio e stavo guidando, una specie di versione soft di quel loro pezzone dei tempi d'oro che è Malibu.
Mi sono però accorto, in questi giorni di riscoperta dell'avanguardia noise newyorkese 80-90-00 (un nome solo, e anche piuttosto semplice da indovinare), che con lo stesso titolo esiste un brano dei Sonic Youth, di 23 anni più vecchio. L'album è "Sister", disco che non ho mai considerato, probabilmente a causa della copertina poco accattivante, ed è invece fottutamente e affascinantemente casinista.
E niente, questa è la voce di Kim Gordon e questo è il modo in cui i Sonic Youth interpretano la Pacific Coast Highway.



sabato 23 febbraio 2013

Don't look back into the sun

Ci hanno fatto due palle così con l'ideale delle rockstar dalla vita piena di eccessi e siamo cresciuti un po' tutti con questo mito. Non che sia falso, anzi spesso corrisponde a realtà, ma non per questo deve essere considerata una regola incontrovertibile.
Uno degli ultimi personaggi che si è visto affibbiare quest'etichetta, nel momento dell'apice di popolarità, è stato Pete Doherty. Quello che mi sono trovato davanti ieri sera è invece un uomo incapace di prendere parte a questo gioco, che ha suscitato in me profonda pietà.
Non mi aspettavo un concerto memorabile, parliamoci chiaro. La creatività e il valore artistico lo ha perso nella notte dei tempi, e la popolarità ereditata da quel periodo è ciò che lo tiene ancora a galla in qualche maniera. Eppure, sotto il profilo strettamente musicale, non è stato un brutto concerto.
Pete alla chitarra acustica, accompagnato unicamente da una violinista, che spazia attraverso tutto il suo repertorio, dai brani del disco solista ai pezzoni dei Libertines, passando per un paio di canzoni degli incompiuti Babyshambles degne di nota. Più di un'ora di esibizione, non propriamente coinvolgente ma sicuramente amichevole, in ricordo dei bei tempi andati.
È la presenza fisica ad essere inquietante. Il volto da ragazzino, il fisico un po' emaciato, hanno lasciato spazio ad un uomo che sembra gonfio di cortisone, dalla forma a birillo e dal viso alla Peter Griffin. Solo le spalle ricordano quella sagoma minuta, ispiratrice di tanti hipster con la maglia a righe orizzontali e il cappello nero e i jeans skinny. Si mantiene in piedi a fatica, si muove legnosamente, prova a fare stage diving ma occorrono poi due dei suoi per tirarlo sul palco, accende tre sigarette scroccate al pubblico ma gli cascano dopo un tiro solo. Ad un certo punto, riesce a beccarsi addirittura una testata contro il microfono, roba da deviazione del setto nasale.
Mi è dispiaciuto parecchio, nel vederlo così impotente. Mi hanno detto dal backstage che ha portato con se la figlia, probabilmente con l'intento di mostrarle l'unica cosa che è ancora in grado di fare, canticchiare vecchie belle canzoni intrattenendo un pubblico complice, che pur di vederlo ancora si accontenta di questo.
Io che sognavo un ritorno dei Libertines, come a Reading/Leeds nel 2010, vedo ormai ogni entusiasmo smorzato. Ciò non mi stupisce molto, in realtà, piuttosto l'empatia con un uomo assolutamente perso, un carico di potenzialità totalmente ingestite e sprecate.

E poi si chiude così.

martedì 19 febbraio 2013

Up that hill

Era più di un mese fa, ed avevo riapprocciato la corsa, noncurante della stagione poco propizia, scegliendo un nuovo tracciato urbano da calcare. Ne parlavo qui.
È andata a finire che ho corso un paio di volte, poi mi è venuto un piccolo malanno, poi è arrivata la neve, poi c'è stato il freddo, e poi sono andato negli Stati Uniti, e poi c'è stato di nuovo il freddo, e poi sono andato in Sardegna. Nel frattempo mi sono attrezzato con la tenuta invernale, ma non ho avuto modo di provarla, fino a ieri.
Sono uscito discretamente presto dal lavoro, e sono andato al parco. Mi sono fatto un paio di riprese, con sorprendenti risultati di tempo e per una distanza totale non indifferente, per i miei standard. E non ero troppo stanco, ho dormito bene, non mi sono ammalato e oggi di nuovo, sono tornato e ho corso ancora un po'. E la cosa non è di grande interesse, me ne rendo conto, ma avevo promesso il quattro di gennaio una foto dello skyline di Brescia visto dal parco, e ho provveduto a scattarla e mi serviva un post per buttarcela dentro.
Ecco. A me correre qui in mezzo un po' galvanizza.


domenica 10 febbraio 2013

So I felt like an actor

Non riesco a spiegare agli altri, tantomeno a me stesso, la contraddizione tabagistica che mi vede incapace di fumare in un luogo chiuso, che sia casa mia o un locale, e altrettanto incapace di non fumare quando sono al volante.
Ripensavo a ieri. Sono uscito di casa due volte, nel tardo pomeriggio per andare all'Esselunga e la sera per andare Lio. Un totale di 11.6 km, ripercorrendo il tragitto su Google Maps. Un totale di quattro sigarette, secondo il mio pacchetto. Una media di una sigaretta ogni 2.9 km. La colpa è anche di questa canzone con cui sono andato in fissa ieri, ma non nascondiamoci dietro a un dito. Io ho un problema.
La mia lucida analisi non si è conclusa qui, purtroppo. Perché quegli 11.6 km sono frutto di percorsi allungati di proposito per concedermi il tempo di una sigaretta, mentre seguendo per ogni tratta il tragitto più breve avrei percorso un totale di 6 km. Ho raddoppiato la strada per potermi godere in pace quattro sigarette in modalità David Bowie. Questa deviazione stradale/mentale mi costa più di benzina che di tabacchi, peraltro.
Soffro di claustrotabagismo. Non iniziate a fumare in auto, crea dipendenza (molto più del fumare generico, per quanto mi riguarda).

giovedì 7 febbraio 2013

At Last

Sabato sera si è diffuso viralmente un messaggio di Kevin Shields: nel giro di poche ore ci sarebbe stata la release ufficiale del nuovo disco dei My Bloody Valentine.
Per chi si fosse perso qualche puntata, l'ultimo album del gruppo irlandese è quella pietra miliare di Loveless, risalente al 1991, anche se in totale di album studio ne hanno pubblicati solo due, più svariati EP. Scrivere la storia dello shoegaze, e della musica per chi ci crede, con due soli album. Succedeva anche questo all'inizio degli anni '90. A tal proposito, segnalo un pezzo di Consequence of Sound che ci racconta cosa succedeva appunto nel 1991 in ambito musicale, con la pregevole chiosa [spoiler]"".
Facendo FFWD ai giorni nostri, sabato sera sono dunque uscito a fare bisboccia con la consapevolezza che sarei poi rientrato a casa e mi sarei messo a cercare. Cosa che puntualmente verso le 3 e rotti è successa, ma il sito del gruppo era sovraccarico e dunque offline, e dopo aver carpito il titolo -"m b v", essenziale-, scoperto la copertina -questa- e letto/scritto un paio di cazzate a tema su twitter ho temporaneamente desistito. Temporaneamente, chiaro.
Mi ci è voluto poco poi domenica, all'ora di colazione, per trovarlo e poterne usufruire. Anche -non solo- in maniera legale, dato che è stato pubblicato dai My Bloody Valentine stessi su YouTube, sebbene fosse inizialmente mancata l'accortezza di creare una playlist che contenesse tutte le tracce. Che ora è invece comparsa, se volete usufruirne qui.
Primi sprazzi dal pc, poi dall'impianto audio domestico quasi completamente configurato, e pronto caricamento sull'iPod. Primi ascolti non troppo d'impatto, forse a causa della mia distrazione. Stamane in ufficio l'illuminazione. Shoegaze is not dead, dicono, e hanno una cazzo di ragione. L'apice viscerale lo si raggiunge al momento con la traccia 2, "Only Tomorrow", che appare la naturale prosecuzione di Loveless, senza che odori di giàssentito.


E niente, una manciata di minuti fa ho preordinato il vinile nell'unico posto che ce l'ha disponibile, ovvero lo shop del sito ufficiale. Ci vorrà un mese per averlo, mi sa, assieme a un anonimo cd da poter lasciare in auto, mentre ho già sfruttato il download degli mp3 regolari.
Occorre dare un senso allo sfondo di questa pagina, e per farlo serve un segnale forte, distorto e compresso.